MONTESOLE: CAMMINARE LA RESISTENZA,
CAMMINARE LA COSTITUZIONE
10-11 Settembre. PON Solidarietà e Legalità modulo 5
10 Settembre 2025
Partenza.
Fin dall’inizio una montagna d’acqua si è continuamente sbriciolata per strada fino a Monte Sole. Il paesaggio appariva e spariva in una tonalità di grigio liquido: Calenzano poi Barberino,la Panoramica, per fortuna semideserta,percorsa quasi tutta su una sola corsia. E pioggia ancora all’uscita dell’autostrada ,sulla tortuosa stradina provinciale ,nel borgo di Quercia attraversato da un corso d’acqua piovana e infine sull’ultimo tratto in salita, fino in cima ad un’altura.
Un edificio ci accoglie con le bandiere arcobaleno esposte da tutte le finestre che si affacciano sulla strada. Siamo arrivati. È la Scuola di Pace di Monte Sole. L’accoglienza di Elena, una delle responsabili del centro,è veloce e familiare. Ci vengono fornite lenzuola ed asciugamani e ognuno prende possesso del proprio posto letto. Siamo in tutto 18 e occupiamo tre camerate con letti a castello. In questi due giorni nell’edificio saremo solo noi.
Dopo poco tempo ci raggiunge Vilmer Venturi,l’operatore che curerà il nostro soggiorno a Monte Sole e ci farà da guida nei luoghi storici. Data la pioggia invertiamo l’ordine del programma. Rimandiamo l’uscita al giorno dopo mentre invece il primo giorno ci dedicheremo ad attività residenziali.
Entriamo in un grande salone al primo piano e ci disponiamo in cerchio. Comunichiamo il nostro nome al gruppo. Poi iniziamo a presentarci ad ognuno ripetendo sempre il nostro nome,e poi percorriamo il cerchio chiamando ognuno per nome e ripetendo il nostro.
E così via,per diverse volte. Alla fine i nomi scorrono fluidi:
Olivia, Diletta, Fabiana, Alessia, Jurij, Lorenzo, Clelia, Elena, Anahit, Ada, Ludovico, Matteo, Giorgio, Flavia, Marianna, Livia, Daniela, Kolja ( un volontario austriaco ospite del centro)Vilmer, Antonio.
Ognuno ha un nome e questo nome è ripetuto e ormai conosciuto da tutti. Non siamo più singoli ma un gruppo di persone che si ri-conoscono e si dispongono ad agire insieme.
Seguono momenti di colloquio a due: racconta un episodio,un ricordo,qualcosa che ti è capitato. Niente di impegnativo,per carità. Però dire il proprio nome, riconoscere quello dell’altro e poi raccontarsi qualcosa a due permette di creare una familiarità semplice e immediata, vuol dire fare un piccolo passo nella vita di chi ti è prossimo e permettere che un altro faccia altrettanto nella tua vita.
Intanto ha smesso di piovere e tra le nubi grigie s’apre qualche squarcio di cielo sereno. Il paesaggio esce dal monotono grigiore ed iniziano ad apparire i colori densi e pastosi di questo colle ordinato e armonioso. Si prosegue fuori.
Altre attività di conoscenza e relazione (gioco della corda tesa in cerchio- gioco della biglia- sedie in cerchio): il succo di tutti questi momenti interattivi è che, per risolvere problemi, la cooperazione è più efficace della competizione. Una sorta di pedagogia della collaborazione messa in pratica. Cosa propongono questi giochi? Uno modo obliquo per riprendere pezzi di vita.
Fine giornata. Vilmer introduce il tema dei rastrellamenti e degli eccidi. Ci sono delle inaspettate testimonianze da parte di alcune ragazze Diletta ed Elena ( il bisnonno di Elena offre protezione e riparo ad una famiglia di ebrei pisani) e da parte di Daniela che racconta la vicenda della madre coinvolta in un rastrellamento da parte dei tedeschi nelle colline tra Lucca e Pisa.
Finite le attività ,abbiamo qualche momento libero prima di cena. Saliamo su un colle, da lì guardiamo prima la valle e poi il cielo, ormai libero, che inizia a scurirsi tra macchie rosse che sfumano verso l’orizzonte.
Ci troviamo a cena. Ci ospita il rifugio il Poggiolo- Rifugio resistente-appena più in basso rispetto al nostro edificio. Piatti diversificati tra vegani,vegetariani,personalizzati per intolleranze e allergie vengono serviti in breve tempo. È una tavolata vociante e serena,pochi cellulari in funzione e tante discussioni.
Rientriamo. Il gruppo giovane si sposta in una grande sala adiacente e improvvisa una serie di balli sociali. Sono soli, la musica è alta ma non danno noia a nessuno.
Ballare, suonare, cantare, correre nei campi, chiacchierare tra amici. Quanti di quei giovani che persero la vita tra il 29 settembre e il 5 ottobre del ’44 avranno fatto le stesse cose prima che venisse spezzata la loro vita?
I ragazzi riportano gioia e voce a questi luoghi violati per sempre da un incontenibile e radicale odio armato.
11 Settembre 2025
Con qualche lentezza siamo pronti.( Un gruppo di ragazzi si è alzato presto per vedere l’alba.)
Procediamo verso Casaglia. Dopo un centinaio di metri ci fermiamo in una piazzola. Siamo in alto: si vedono chiaramente, sotto di noi due valli attraversate dal fiume Setta da una parte e dal Reno dall’altra. Guardiamo attorno a noi. C’è solo vegetazione sparsa, boschi e qualche arativo. Negli anni 40 lo stesso paesaggio era punteggiato da casolari, greggi al pascolo, contadini che curavano la terra, legna tagliata e sistemata in cataste. Risuonavano voci e rumori. Fluiva con i suoi ritmi pesanti la vita contadina. Nel giro di poco tempo tra fine settembre e inizi ottobre del ’44 la vita fu completamente eradicata da quei luoghi. Ma non da qualche evento naturale come frana o terremoto. Fu una questione di uomini. Non bisogna dimenticarlo. Levi, Amery, Arendt sono penetrati nel cuore di questo orrore e hanno trovato le parole per raccontare quell’indicibile operato non da esseri mostruosi ma da altri uomini. Carnefici e vittime appartengono allo stesso genere umano.
Vilmer ricostruisce la logistica tedesca di quel periodo. Sono momenti cruciali. Gli Alleati avanzano, i Tedeschi resistono, gli aerei bombardano, i partigiani compiono azioni di guerriglia. Spicca il gruppo partigiano “Stella Rossa” fondato da Mario Musolesi ( detto Lupo) che può contare sull’appoggio di larga parte della popolazione di Monte Sole. Lupo,dal carattere acceso e determinato, organizza sabotaggi alla Direttissima , agguati e rappresaglie. È un chiodo fisso per i nazifascisti che cercano di stanarlo attraverso perlustrazioni e ritorsioni sulla popolazione civile.
Ma è tutto così semplice, con i buoni da una parte e i cattivi dall’altra? Il quadro si complica perché nella Storia grande ci sono poi anche le storie piccole. Un contadino, ci riferisce Vilmer, ricordando quel periodo, racconta di come si fosse sentito felice, in quei tempi di fame e carestia quando la sua vacca aveva partorito due vitelli. Uno fu sottratto dai tedeschi durante una perlustrazione, l’altro invece fu requisito dai partigiani in cambio di un “pagherò” a guerra finita. Un contadino povero tra due fuochi: che pensa, che sente, che fa? Accanto alla Ragion storica –etica- politica che indica con certezza cos’è giusto , poi ci sono le ragioni personali,di sopravvivenza, di paura, di ignoranza che non sai come giudicare.
Lasciamo il discorso in sospeso. Lupo cadrà combattendo il primo giorno dell’attacco a Monte Sole,il 29 settembre.
Giungiamo a CAPRARA DI SOPRA
Pervasa da boschi e vegetazione viene ricostruita con dei resti e mura di pietre a ricordare la presenza di abitazioni, per evocare e mantenerne la memoria. Salvina, una delle sopravvissute, quando ritorna a Caprara non si ritrova, non riconosce i luoghi che pure erano stati i posti della sua giovinezza. Valeva la pena rimettere in piedi dei muri? Cosa fare dei luoghi aggrediti dal una violenza profonda? Come trattare i luoghi contaminati dal male?
Nel borgo di Caprara c’era l’osteria: si ritrovavano gli uomini a giocare a carte, a bere e a chiacchierare. Nel borgo di Caprara a volte c’era la musica e si andava a ballare. Era l’unico modo di incontrare ragazze sempre rigorosamente accompagnate da nonne e zie anziane. I giovani aspettavano con ansia l’arrivo delle donne e con un corteggiamento piuttosto frettoloso, non c’era tanto tempo da perdere, si proponevano alle ragazze. E quando la serata stava per finire, per allungare i tempi del ballo,i giovani invitavano anche le zie e le nonne che trovavano così un attimo di gioia ed erano disposte a chiudere un occhio su qualche avvicinamento eccessivo alle nipoti in custodia.
Come si fa l’amore in tempi di guerra?
Caprara: il racconto di Salvina Astrali (15 anni) – Ha perso, il 29 settembre 1944, 8 familiari.
Quando abbiamo sentito le cannonate, abbiamo deciso di trasferirci da Villa D’Ignano a Caprara perché mia madre si sentiva più sicura là. Abbiamo attaccato le mucche al biroccio e siamo partiti e con noi sono partite anche altre 4 famiglie. Siamo arrivati a Caprara la sera prima del rastrellamento. Io mi sono salvata perché la stessa sera dissi con mia madre: ” Abbiamo lasciato alla Villa tutte le bestie, tutte le mucche, vado là a recuperarle.”
Sono partita con le mie amiche e sono tornata alla Villa. Mentre eravamo per strada abbiamo incontrato mio padre che disse “Bambine tornate indietro perché c’è il rastrellamento anche a Caprara. Tua madre mi ha mandato via perchè dice che alle donne e ai bambini non fanno niente, gli uomini li prendono su e li portano in Germania”.
Siamo tornate indietro, passando per Tura dove c’era un covo dei partigiani ed Ettore (NdR Ettore Benassi, partigiano della Stella Rossa) mi disse: “Ma dove andate?” Raccontammo tutto e lui disse “Restate qui”.
Il giorno dopo arrivarono le mie due sorelle…chi le riconosceva più dal gran che erano messe bene…….Tutte piene di sangue, carne, avevano un po’ di tutto addosso. Una aveva preso una gran bruciata negli occhi, non ci vedeva, l’altra aveva due cannonate proprio nel sedere, due buchi che ci entravano due pugni dentro….Che vita che hanno fatto ad arrivare lì a Tura….Quella che non ci vedeva portava l’altra che non poteva camminare sulle spalle e quella sulle spalle guidava la sorella che non ci vedeva.
C’era molta gente e quando sentirono il racconto delle mie sorelle e che a Caprara erano morti tutti e non ci era rimasto più nessuno, scapparono tutti via, avevano tutti paura. Tutti scappati tranne il dottore che ci disse “Ho ancora solo una puntura, se conta questa, bene, altrimenti non so proprio come posso salvarla, tua sorella”. Sarà contata quella e le nostre cure con acqua e sale, siamo riusciti a salvarla.
Raccontarono che si erano salvate perché si era ribaltata una vetrina ed erano rimaste dietro questa vetrina. Mi hanno raccontato che sentivano urlare, c’erano tanti bimbi, è per questo che se ne sono salvate pochi e la mitragliatrice sopra la finestra sparava; quando sono morti tutti i piccoli, le persone che erano rimaste vive sono scappate. Loro hanno sentito che fuori c’era delle gente che parlava anche in italiano. Quelli che sparavano non erano tutti tedeschi, c’erano anche degli italiani, i repubblichini.
A Caprara ho perso la mamma e tre sorelle e dalla parte di mio marito, sette cognati e la suocera, la famiglia Iubini. Si è salvato solo mio marito perché era in Germania. Mio suocero non si mai fatto intervistare, teneva il dolore dentro di sé e basta. Uno degli 8 figli aveva solo 20 giorni e mio suocero (suo padre) ha trovato solo le penne della cuscina; un altro grande lo trovò a cavalcioni della finestra con un maiale che gli mangiava la testa….
Io dovevo accudire le mie sorelle e mio padre che erano tutti feriti e non tornai a Caprara. Avevo 14 anni. Nessuno di noi tornò a Caprara, sapevamo che erano tutti morti.
Chi erano gli uomini che hanno commesso questo eccidio? Quali erano gli ordini? Potevano disobbedire? Perché l’hanno fatto? Proviamo a ragionare, proviamo a dare qualche spiegazione,a trovare una pista ,qualcosa che aiuti a capire…
Proviamo a riprendere lo studio di Browning che in “Uomini comuni”,ricostruisce come anche un uomo comune può essere educato ad uccidere per spirito di carriera, per emulazione, per interesse e per competizione. E poi ci sono gli esperimenti di Zimbardo. Ci sono alcune domande e qualche riflessione. Esiste la libertà di scelta? Poi cala il silenzio.
In qualche modo tutto il male è lì fermo, non si riesce a scalfire.
CASAGLIA
C’è una sbarra che delimita l’ingresso alla chiesa. l’apriamo ed entriamo. C’è un altare e tutto intorno i resti di una chiesa fatta saltare.
Non possiamo fare a meno di ricordare che il cardinale Matteo Zuppi il 14 agosto 2025, tra i ruderi della chiesa di Casaglia, incendiata nel 1944 dai nazifascisti, ha promosso la lettura dei nomi di dodicimila bambini che hanno perso la vita dal 7 ottobre 2023 ad oggi in Israele e a Gaza. Anche questo è utile per risignificare un luogo di dolore, ridargli voce e valore di testimonianza.
Impaurite dall’arrivo improvviso dei soldati tedeschi e da quanto sta succedendo intorno, il 29 settembre, moltissime persone fuggono dai loro luoghi, dalle case e si recano nella Chiesa di Casaglia. Si tratta solo donne, bambini e persone anziane. Gli uomini adulti si erano dati alla macchia per timore di essere rastrellati . In chiesa c’è il parroco Don Ubaldo Marchioni che inizia con loro a pregare e recitare il rosario. Arrivano i tedeschi e bussano violentemente alla porta della chiesa. Vilmer ci legge la testimonianza di Cornelia.
Casaglia: il racconto di Cornelia Paselli (18 anni)
Noi scappammo di gran corsa a questa chiesa che era la parrocchia di Casaglia. Come arrivammo su alla chiesa ci trovammo cento persone perché tutti erano fuggiti lì perché pensavano nessuno avrebbe fatto del male e nemmeno incendiato la chiesa. Ci sentivamo al sicuro. Difatti andammo dentro e poi arrivò anche il prete e disse: “Diciamo il rosario perché c’è pericolo, preghiamo”, ma nessuno riusciva a pregare perché ci era venuta una grande angustia. Aspettammo aspettammo, sempre con una gran paura addosso, poi d’un tratto sentimmo bussare alla porta, erano i tedeschi delle SS.
Cominciarono a urlare: “Tutti fuori, tutti fuori!!” e poi parlarono con il prete: “Accompagni tutta questa gente a Cà Dizzola”. Allora io a sentire così pensai: “Appena sono nel bosco, mi nascondo”, proprio pensai subito di nascondermi da questo pericolo. Intanto che ci incamminiamo, all’incrocio che va giù a Cerpiano, arrivò un’altra squadra di tedeschi. Appena ci videro fecero degli urli: “Alt Alt Alt!”.
Intanto un ufficiale diede l’ordine di abbattere il cancello del cimitero. Allora io, vedendo quella scena, dissi a mia madre:” Mamma, vedi lì c’è la nostra fine” io vidi già la scena, la fine. Poi presero il prete con loro e piazzarono un tedesco di fronte a noi con la mitragliatrice; dovevamo aspettare la risposta perché il prete aveva detto: “I vostri camerati hanno detto di andare a Cà Dizzola”. Aspettammo lì quasi una mezz’ora, pioveva e poi arrivò un tedesco a dare l’ordine. Cominciò a dire: “Raus raus!”, io chiesi: ” Come?” E lui: “Avanti avanti!”, in malo modo con arroganza.
Io ero in mezzo al gruppo ed entrando in mezzo al cancello del cimitero, pensavo…pensavo a tante cose, che non riuscivo a fare un pensiero nitido, volevo scappare , volevo buttarmi, l’ultima cosa da potermi salvare, ma non ci riuscivo, sembrava che il cervello scoppiasse, allora spingevo spingevo perché volevo stare in mezzo al gruppo, mi sentivo un po’ protetta e invece finii contro il muro proprio sull’esterno nella parte sinistra e lì non riuscivo neanche a fare un passo, poi davanti a me avevo il tedesco che piazzò la mitragliatrice proprio dalla mia parte, di fronte.
Vedevo tutto, sentivo tutto, vidi che caricava la mitragliatrice con il nastro di proiettili e io rimanevo lì dritta così e volevo sempre spingere, non ci riuscivo. D’un tratto sentii un colpo talmente forte, talmente forte, non sapevo cos’era. Possibile la mitragliatrice? Ma come è pesante per fare un…poi veniva giù l’intonaco, poi capii che era una bomba a mano, era stata una grande esplosione. Questa bomba mi fece fare un salto, una capriola che mi portò proprio nel centro della gente, del gruppo ma con la testa conficcata a terra e la gambe per aria. E lì cominciai a sentire tutto il sangue addosso degli altri, e dicevo: “Dio! Tutto…”., mi colava sulla faccia, dappertutto e pensai questo è il sangue dei feriti, poi per un attimo ebbi la paura che fosse il mio e lì svenni.
Dicevo, pensai, se sono stata colpita e non ho sentito il dolore? Proprio mi feci questa domanda e lì svenni. Mi accorsi che ero svenuta perchè dopo tanto tempo sentivo delle voci lontane, lontane invece era mia madre che mi chiamava: “Cornelia, Cornelia…” e io stavo zitta dalla paura e lei insisteva: “Sei ancora viva?”, “Sì mamma, stai zitta per carità”. Tutti piangevano, una quando sentì la mia voce, mi disse, vienmi ad aiutare ti prego, mi manca la mano… La mamma disse: “Non sto più in piedi, mi hanno mitragliato tutte le gambe”, non stava più in piedi. E poi disse: “Gigi e la Maria sono già andati…”. Invece mi sorella, mia sorella urlava, aveva 15 anni diceva: “La mia testa, la mia testa!”, aveva avuto una esplosione vicina, vicina che aveva ucciso un donna e lei era convinta di avere la testa spaccata.
Io riuscivo a camminare ma mi ci è voluto a tirarmi fuori perché avevo tutti i corpi addosso, ma dovevo aiutare mia madre. Lei non si lamentava e io le dicevo: “Adesso mi tiro su e ti vengo ad aiutare”. Sono stata lì dalle 9 alle 4 del pomeriggio, poi quando ho visto che i tedeschi se ne erano andati, c’era un bambino in piedi che guardava e diceva: “Non c’è nessuno, non ci sono più, scappate”!
Allora per prima scappò la Lucia Sabbioni, poi altre 2 o 3. La Lucia era molto ferita e la portavano in spalla.
Mi alzai su, trascinai mia madre vicino al muretto, le feci un laccio nella coscia perché sanguinava tutta, e la adagiai vicino al muretto. “Mamma adesso corro a Cerpiano che vado a cercare aiuto, e ti portiamo a Bologna al Rizzoli, là fanno le gambe nuove”, cercavo di consolarla e lei poverina era paziente. Lì rimase mia sorella e mia cugina. Appena fuori, era tutto scoperto e si vedeva Cerpiano benissimo, allora, anche l’oratorio.
Sul gradino dell’oratorio c’era un tedesco di guardia e da dentro si sentivano delle urla, delle grida… e io capii che anche là era successo uguale. Quando vidi così cominciai a scappare nel bosco e finii a Gardelletta, sempre per cercare qualcuno, non c’era un’anima.
Un tedesco di guardia non mi vide. Andai verso la ferrovia, passai dalla nostra casa ma non ebbi il coraggio di andare dentro, la guardai così e mi dissi: “Cosa ci vado a fare?, non c’è nessuno”. Allora pensai di andare su dai contadini, perché noi avevamo una pecorina, mio padre nello sfollare l’aveva lasciata lì da loro.
Quando arrivai su, era vicino a casa nostra, trovai i contadini morti nell’aia, poi mi guardai attorno, vidi la pecorina sgozzata, tutta piena di sangue e lì rimasi talmente male, avvilita, mortificata che cominciai a piangere, piangere perché fino ad allora non ero riuscita a piangere. Vedendo la pecorina, capii che era finito tutto. Andai giù singhiozzando, per me era già morto tutto. Arrivai a Casa Veneziani ed erano tutti morti anche lì ”
Entriamo nel cimitero poco distante. Ci sono delle croci e solo due tombe:una è quella di Dossetti. Le parole scorrono lente, ragionate, c’è una timidezza, un’inquietudine di fondo. Poi il discorso si sposta all’oggi. Come si può essere ancora fascisti? Come si presenta oggi il fascismo? Cosa ha permesso che si riproponesse come ideologia e che trovasse ancora persone decise a fare propri i valori razzisti e autoritari?
Forse Dossetti avrebbe qualcosa da raccontarci. Rimane muto sotto la sua sobria lapide. Le risposte tocca trovarcele da soli.
Rientriamo. Si è fatto tardi. Ci siamo allungati con i discorsi. Lo spazio del cimitero ha creato una connessione tra morti e vivi, un dialogo aperto che chiama tutti in causa. Ha propiziato riflessioni sulla vita di oggi. Chiamiamo la trattoria per avvisare che ritardiamo di mezzora. Il tempo che ci vuole per ritornare al Poggiolo.
Il pranzo è piuttosto veloce. Ci ritroviamo per la parte finale: “Che fare?” È la questione chiave per dare una prospettiva pratica e fattiva al fiume di emozioni ,sensazioni,esperienze vissute in questi due giorni. Vengono formati quattro gruppi e alla fine condividiamo le proposte.
- C’è bisogno di informazione. È il punto su cui tutti i gruppi sono d’accordo.
- Chiedere momenti di riflessione a scuola: proporre assemblee,viaggi di istruzione,proporre letture,testimonianze,creare gruppi di studio.
- Distribuire volantini,usare la bacheca scolastica e i vari canali social.
- Proporre percorsi di educazione affettiva durante le ore di Educazione civica.
- Proporre confronti tra chi ha idee diverse per abituare al dialogo.
- Evitare di emarginare le diversità. E altre ancora.
Chiudiamo l’attività e ci prepariamo per il ritorno.
Qualcosa può succedere.
Attento a dove metti i piedi. Così si dice in situazioni di pericolo. In questo caso invece abbiamo fatto attenzione a mettere i piedi sulle orme di chi ci ha preceduto. Siamo stati attenti a non perdere quelle tracce. Le tracce della Memoria, le tracce del dolore, le tracce della Resistenza. I piedi ce li abbiamo messi.
Chiaravalloti Antonio Teodoro
Docente